Per il marketing l’essere umano viene visto come un cliente con dei bisogni da soddisfare. La soddisfazione dei bisogni è rivolta alla fidelizzazione che porterà un profitto costante e durevole nel tempo. Tutto corretto: facendo il bene dei clienti, li rendiamo contenti e tutti ci guadagnamo.

Il problema nasce quando i bisogni da soddisfare non fanno proprio bene alle persone. Pensiamo ad esempio a tutti quei prodotti come il tabacco che creano dipendenza e danno una soddisfazione solamente temporanea (e oltretutto sono dannosi per la salute). Senza andare troppo nei casi particolari dei monopoli di stato, è sufficiente buttare un occhio a quei consumatori (la stragrande maggioranza) che si indentificano con un brand e i suoi valori. Pensiamo ad esempio ai club automobilisti fatti di fan che si identificano con una certa casa automobilistica (BMW, Mercedes, Alfa Romeo ecc.) e ne fanno quasi una religione. In questi casi il bisogno da soddisfare è quello di appartenere ad un certo gruppo, la voglia di identificarsi con determinati valori che il brand è riuscito a costruire e comunicare nel tempo: come la sportività, l’esclusività e il lusso. Possiedo questo bene di valore ergo anche io sono di valore.

Premesso che tutti noi amiamo certi prodotti o marchi e che non c’è niente di male in questo, va considerato che se l’obiettivo dell’acquisto è quello di diventare migliore solamente con un esborso di denaro, capiamo bene che alla base c’è una forte distorsione cognitiva. Il nostro bisogno di apparire ci darà solamente una soddisfazione temporanea e non ci renderà sicuramente delle persone migliori o felici.

Il problema nasce dal fatto che non tutti i bisogni che albergano in noi sono in uno stato consapevole e che le nostre azioni d’acquisto sono guidate da motivazioni irrazionali (come la voglia di appartenere ad un gruppo elitario). Gli esperti di marketing se ne sono accorti da tempo e cercano sempre di costruire e comunicare i valori del brand proprio per andare a colpire alcuni dei nostri punti deboli.

Con il neuromarketing questo concetto è stato portato all’estremo andando ad analizzare a livello neurologico la nostra risposta emotiva agli stimoli. Come? Monitorando il cervello dei clienti attraverso strumenti come l’elettroencefalografia e la risonanza magnetica. Capire come reagiamo agli stimoli può fornire ulteriori dati per capire quali sono i meccanismi, spesso inconsci, che condizionano il nostro processo d’acquisto. Inoltre questi studi hanno fatto luce anche sui bias cognitivi. I bias sono quei pregiudizi che creano una distorsione nella percezione della realtà e che spesso si creano sulla base delle poche informazioni in nostro possesso.

Un paio di esempi. Se ci viene detto che un vino è molto buono e costoso, e che fa parte di una riserva piuttosto rara, queste informazioni inizieranno già a condizionare il nostro cervello e la percezione stessa del piacere. Questo esperimento è già stato svolto e ai tester è stato somministrato un prodotto di media qualità. Però ad una parte di loro è stata comunicata l’eccezionale qualità del prodotto predisponendo e attivando il loro centro del piacere. I macchinari hanno poi confermato che la sensazione fisica di piacere era molto più attiva nel cervello dei soggetti che erano stati “preparati” piuttosto che in quelli che erano ignari dell’eccezionale qualità del vino. Questo è un esempio di come le poche informazioni in nostro possesso possano influenzare come percepiamo la realtà.

Altro test effettuato molti anni fa. Ad un gruppo di persone è stato chiesto quale bevanda preferissero, se la Coca Cola o la Pepsi. Test effettuato su persone bendate che non potevano distinguere visivamente quale delle due famose bevande stessero assaggiando. Il risultato fu che la maggior parte dei partecipanti preferiva la Pepsi. A questo punto però non si capiva come mai la Coca Cola avesse una quota maggiore di mercato rispetto alla Pepsi. Il motivo va cercato nella campagna di comunicazione avviata dalla Coca Cola che ha sempre legato il concetto del Natale (con le sue festività) al proprio brand. Questo tipo di pubblicità, che lega il prodotto a determinate emozioni, influenza i consumatori a livello inconscio, i quali si ritrovano ad effettuare acquisti dettati da motivazioni irrazionali.

Il neuromarketing tiene in considerazione i processi che si verificano nel nostro cervello. In particolare analizza le 3 principali aree dove nascono determinate emozioni:

  • cervello antico (rettile)
  • cervello intermedio (limbico)
  • cervello recente (neocorteccia)

Il cervello rettile è responsabile di tutte le nostre funzioni vitali, svolge tutti i compiti automatici legati ad esempio al respiro, alla digestione o al battito cardiaco. Il suo compito è quello di far preservare la specie. È per questo che si occupa di allarmarci in caso di pericolo ed è preposto ad attivare gli istinti primordiali legati alla nutrizione e alla riproduzione. Il suo corretto funzionamento ci permette di reagire e di prendere decisioni in frazioni di secondo.
Non vi stupirete quindi se molte immagini pubblicitarie evocano spesso questi 3 elementi: pericolo, cibo e sesso.

Anche l’aspetto lucido di alcuni prodotti attiva il cervello rettile perché evoca questa caratteristica propria dell’acqua, che è fonte di vita. Avrete notato che anche la frutta e la verdura nei market sono sempre lucidi e brillanti, così le bibite mostrate nelle pubblicità o alcuni rossetti che attivano un rapido richiamo sessuale.

Nel cervello medio risiede il sistema limbico che elabora emozioni, comportamento, olfatto e memoria a breve termine. Inoltre è strettamente collegato agli impulsi del cervello intermedio.

Dal punto di vista strettamente emotivo c’è un’area che gli esperti di neuromarketing conoscono molto bene: l’amigdala. Qui prendono vita le emozioni più intense, piacevoli o dolorose, che si fissano nella nostra memoria. Nell’amigdala nascono passioni, coinvolgimenti, empatie e vibrazioni che arrivano al cuore.

Nel neuromarketing è fondamentale riuscire a coinvolgere l’amigdala, così facendo si può emozionare e portare il cliente a desiderare. Una volta che abbiamo un desiderio significa che c’è un bisogno da soddisfare (e qualcosa da vendere).

Ora che siamo arrivati al cuore del problema analizziamo quali sono i neurotrasmettitori responsabili dello stato di eccitazione: la dopamina e la serotonina.

La dopamina è responsabile di tutti quei comportamenti “motivanti” e innesca la percezione di autogratificazione. È chiamata anche l’ormone dell’euforia perché è legata al piacere e al senso di ricompensa. Aumentiamo la produzione di dopamina quando riceviamo un like su Facebook che ci motiva a pubblicare nuovi post. Ne aumentiamo la produzione anche quando il prodotto che acquistiamo supera le nostre aspettative. Questo insegna che dobbiamo sempre cercare di superare le aspettative, non eluderle. Un piccolo omaggio inaspettato, un volo aereo che arriva prima dell’orario stimato, un pacco di Amazon recapitato in anticipo: tutto questo aumenta la produzione di dopamina e conseguentemente il senso di gratificazione.

La Serotonina. Responsabile del tono dell’umore, dell’appetito e dell’istinto sessuale è anche detta la molecola dell’amore o della felicità. Ne aumentiamo la produzione, ad esempio, anche quando vediamo persone e gruppi in cui ci identifichiamo (ricordate i fan club automobilistici?)

Cervello recente (neocorteccia). Questa area ci differenzia dal resto del mondo animale rendendoci razionali. Permette di elaborare il linguaggio e di produrre pensieri logici. In questo caso le tabelle comparative che vengono mostrate nei siti web permettono alla neocorteccia di elaborare le informazioni logiche offerte e di prendere una decisione razionale.

Purtroppo anche in quest’area interviene il neuromarketing, perché anche qui si possono sviluppare dei bias cognitivi, ovvero percezioni o trappole, apparentemente logiche, che possono trarre in inganno.
Inoltre la parte razionale del nostro cervello, spesso interviene solo per giustificare gli acquisti irrazionali. In altre parole facciamo scelte di pancia e le aggiustiamo con la testa. Se compro l’ultimo modello di iPhone, che costa una follia, lo faccio soprattutto perché ne sono innamorato e mi piace da matti. Ma poi dico a me stesso che mi serve per lavorare, quindi è “giusto” spendere quella cifra. Questo è solo un esempio ma il concetto bene o male è questo. È come se la nostra mente si comportasse come un infiltrato che lavora per il nemico e ci volesse tranquillizzare per l’ennesimo acquisto fatto con la pancia.

Dobbiamo accettare il fatto che, in quanto esseri umani, dentro di noi vivono istinti e passioni molto potenti. E che la nostra razionalità a volte è solo apparente. Nel prossimo articolo parlerò di come alcune tecniche di neuromarketing, vengano utilizzate nei siti web per aumentare le conversioni e le vendite.
Vi lascio con un consiglio: acquistate con prudenza!